Se ci vedessimo stasera, sarebbe bello, magari all’imbrunire che poi è il momento in cui la mia miopia si accentua quindi se ci dovessimo incontrare al solito bar farei fatica a individuarti, ma tu mi chiameresti e insomma stasera se ci vedessimo ne avrei da raccontarti. Ti racconterei del Figlio che cresce, hai sempre voluto sapere di lui, soprattutto hai sempre voluto ascoltare il come ne parlo, di lui, forse stasera avrei meno tenerezza, ti accorgeresti che ho un po’ paura della sua dichiarazione di indipendenza, delle sue idee contrarie alle mie persino nella punteggiatura, ti accorgeresti della fatica di 13 anni da sola, dei continui dovuti No, della voglia di dire – che mi sembra così liberatoria – Fai come cazzo ti pare! Ho caldo ho sonno sono stanca, ok questa casa è un albergo e ciao.
Intanto un primo bicchiere di vino bianco, fermo e fresco sarebbe già scivolato sui discorsi come i miei occhi sulle tue mani.
Non le ricordavo sai, ma ne ricordo le carezze, il calore sulla nuca, il tuo palmo sinistro pieno di vita, di fortuna, lavoro, 3 figli come predisse la zingara, eravamo piccoli e tu ridevi e io no, il futuro mi sembra impossibile poi ci arrivo e diventa passato e mi sembra che niente si avveri. Ma ti sei avverato tu.
Mi chiederesti di me, non ti basterebbe il mio “sto bene” e infatti non sto tanto bene: sai che sto per cambiare vita?
Si si seguo l’amore in un’altra città, avrò un altro lavoro, altri amici, altri angoli e scorci, nuove strade da memorizzare e in cui rassegnarmi a perdermi, ma io alla fine mi perdo apposta, così non torno mai a niente.
Una volta che mi ero persa ho conosciuto uno gentile. Mica sono frequenti quelli gentili, mi ha detto mi segua la porto io e pioveva e ha pure condiviso il suo ombrello solo che era alto, lui non l’ombrello, e alla fine mi sono bagnata tutta lo stesso, ma intanto ero arrivata anche se non volevo tornarci: là.
Si davvero – diremmo – fa molto caldo, è un’estate torrida ma la preferisco, la preferisce la mia pelle che torna bambina, ricorda quelle estati al mare sempre scalza e il calore della terra sotto i piedi, per questo lo sopporto questo caldo, perché è denso di immagini lontane che riesco a rimettere a fuoco e a scaldarmi – fin dentro – un po’.
Certo che domanderei di te, ma sai che non amo far domande, preferisco l’altro dica, che peschi a caso, che inventi addirittura, non riesco mai a costruire binari su cui prendere una direzione, non ho mai avuto una direzione, sono sempre andata (perdendomi) non dove diceva il cuore, al cuore non credo, ma la testa. La testa è sempre stata un problema, come si dice? Spegnerla. Spegnere i pensieri e invece io li tengo vivi e li seguo e mi ritrovo dentro entusiasmi assurdi e malinconie assurde. Come assurdo sarebbe ritrovarsi, tu e io, al solito bar.
Dai raccontami, ho proprio voglia di ascoltare.
Dicono sia raro trovare qualcuno che ascolti. Io trovo raro anche imbattermi in chi parli davvero. Non di luoghi comuni, di cronaca, copia e incolla di discorsi sempre uguali. No, parla, parlami sul serio. Fammi male di parole, parole vere non link che rimandano ad altro, ad altri. Dove eri finito? Dimmi di dove sei stato, se vuoi tornarci, se ne sei scappato.
E dimmi sei stai capendo dove sono finita io, a me sembra un luogo senza parole, battuto solo da sensazioni, sensazioni così maledettamente forti che mi fanno male e bene, certo, anche bene. Sto bene, si.
Non pensavo fosse così difficile invecchiare, non ho mai avuto paura di nulla, a volte ora ho paura ci sono cose che finiscono e non ho il tempo di ricominciarle. Non faccio in tempo, ecco: ho un po’ paura.
No, non scrivo più, non arrabbiarti. Cosa vuoi che scriva? A chi vuoi interessi davvero? Chi vuoi abbia voglia e tempo, alla terza riga è già altrove. Anche tu sei andato altrove, l’altrove deve essere un luogo troppo interessante per poter pensare di competere, di vincere e di poter trattenere qualcuno qui.
Ho sempre avuto questo rispetto maniacale, esagerato, della libertà altrui forse perché non ho mai gradito essere a mia volta costretta in un luogo che non sento mio.
Cazzo quanto parlo, quanto ti racconterei, quanto tempo è passato, quanto tutto, quanto senza te.
Ho sempre pensato saresti tornato, la zingara non aveva previsto tutto, vedi che il futuro non esiste? Non ne abbiamo avuto. Ma io ora ho un sacco di passato che tu non hai vissuto, ecco perché ti racconterei così tanto:
per fare invecchiare anche te, che restare giovani è una cazzo di sfortuna, vuol dire non avere avuto tempo.
Non averne avuto più, come te.
[Per A.]